sabato 10 luglio 2010

DOCENTI ITALIANI FANNULLONI?

Docenti italiani fannulloni? Un mito da sfatare
di Mila Spicola
Secondo un sondaggio, l’idea del “docente fannullone”, promossa da Brunetta, rilanciata da Tremonti e accolta dalla Gelmini, ma attecchita senza resistenze nell’ opinione pubblica italiana, deriva non tanto dalla qualità del lavoro offerto.
Il 65% dei genitori intervistati è sostanzialmente soddisfatto dei docenti dei propri figli, il 20% addirittura entusiasta, con un indice di gradimento molto alto se confrontato con quello di altre categorie di lavoratori del pubblico impiego – è di oggi la notizia di un maestro siciliano che insegna in una sculla del nord italia, per il quale i genitori degli alunni di tutta la scuola stanno raccogliendo le firme per evitarne il trasferimento conseguente ai tagli -, quanto da altri fattori: rapporto lavoro/vacanze in primis.
Vediamo di saperne di più. STIPENDIO
Lo stipendio medio di un insegnante tedesco è superiore, e non di poco, rispetto a quello dei suoi omologhi italiani. Lo stipendio medio di un professore di scuola secondaria superiore in Italia dopo quindici anni di insegnamento è di 27.500 euro lordi annui. Un insegnante tedesco, allo stesso livello di carriera, guadagna 45.000 euro all’anno. All’inizio della carriera, oggi, un insegnante delle medie, tanto per fare un esempio, io, guadagna 18.500 euro netti, tredicesima inclusa. (Scelgo il caso tedesco perché in questi giorni stanno scioperando per avere un aumento salariale, sic, a dir loro non adeguato).
QUANTO LAVORANO? Gli insegnanti tedeschi hanno una media di 22 ore di lezione frontale alla settimana contro le 18 degli insegnanti del nostro paese, ma bisogna tenere conto del fatto che le ore di lezione in Germania sono solo di 45 minuti Ore effettive di lavoro: DOCENTI ITALIANI 18 ore di 60 min DOCENTI TEDESCHI 16,3333... ore di 60 min
Non entro nell’analisi delle ore di lavoro prestato oltre le ore effettive di lezione frontale. Quelle quantificabili: riunioni, ricevimenti, programmazioni e quelle non quantificabili: aggiornamenti, studio, preparazione delle lezioni, correzioni dei compiti, visite guidate. Nella maggior parte prestate a titolo gratuito.
VACANZE
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2 di 7 10/07/2010 2.02
La durata delle vacanze estive della scuola tedesca è di circa sei settimane, con alcune differenze tra i vari Länder. C’è una ragione alle differenze tra i periodi di vacanza assegnati alle varie regioni: si cerca di non far chiudere le scuole lo stesso giorno in tutta la nazione per evitare che le Autobhan (le austostrade) vadano in tilt per il troppo traffico. Le altre vacanze (non considerando come da noi , giorni festivi nazionali) nel resto dell’anno sono le Herbstferien (due settimane in autunno), le Weihnachtsferien (tre settimane di vacanze di Natale), le Osterferien (una settimana di vacanza pasquale).
Non sono poche quindi le vacanze all’interno del sistema scolastico tedesco, ma il tutto è bilanciato dal notevole numero di ore di lezione settimanale per i ragazzi, 40 nel Ginnasio, ad esempio. La lezioni in quasi tutte le scuole superiori non sono di 60 minuti ma di 45 minuti. Piccola curiosità: gli intervalli (in numero di due al giorno, sono più lunghi che in Italia: durano 20 minuti, da noi è uno di 15 minuti).
Riassumendo VACANZE TEDESCHE 6 settimane + 2 settimane + 3 settimane = 11 settimane VACANZE ITALIANE 8 settimane (alle medie, alle superiori sono 5) + 2 (natale) + 1 (pasqua) = 11 settimane
AVETE LETTO BENE: 11 SETTIMANE IN ENTRAMBI I PAESI
Per quel che riguarda la totalità dei docenti italiani, io ne sono certa, sarebbero felici di dimezzare i propri “privilegi” pur di guadagnare UNO STIPENDIO ADEGUATO AL LAVORO DATO, Ricordo a tutti che siamo una categoria di lavoratore laureato e specializzato, inquadrato come "funzionario", non come "impiegato", pagato quanto un bidello. Nulla togliendo al lavoro di bidello, io ho scelto di fare il docente, ho perseguito lauree, specializzazioni e corsi di formazione. Nè più e nè meno di un medico specializzato. Avverto il prossimo amico che si imbarca con me in simili discussioni: se l’argomentazione non basterà attaccherò fisicamente il contro argomentatore. Non me ne abbia a male.
Considerazioni. Tempo di lavoro. Gli insegnanti italiani lavorano di più e guadagnano parecchio meno dei colleghi tedeschi. Come mai, nella vulgata collettiva dell’italietta media, la vita dell’insegnante è “piena di privilegi” e in “Europa invece sì che lavorano gli insegnanti? “ Ho fatto il confronto con il caso del collega tedesco, quello che, nell’opinione pubblica comune, rappresenta il caso simbolo della scuola modello e del “docente veramente lavoratore”, che “fatica” come un tedesco, appunto,..., che "lavorerebbe di più" al confronto nostro che non "facciamo nulla"?
Eppure dati alla mano: il tedesco lavora meno di quello italiano.
Se dovessimo attenerci alle considerazioni meramente quantitative, considerazioni alle quali si attiene in genere l’ opinione pubblica media italiana (che non si forma da sola , attenzione, ma in seguito a informazioni fornite dai media: tv in primis e stampa), ne verrebbe fuori che il docente italiano è un gran cretino: lavora di più e guadagna molto meno del collega tedesco, non solo, lo fa in condizioni di lavoro limite.
Da questo punto di vista lo è eccome: cretino. Sempre secondo il metro comune dell’Italia di oggi. Ma il docente italiano, per fortuna, non segue quel metro. Segue un metro antico: quello del dovere e dell’amore. Pensate che categorie assurde. Quasi folli, direbbe qualcuno. Quelle che rientrano nel "ma chi me lo fa fare"? e che non ho mai sentito pronunciare a nessun mio collega.
Forse è il “..,3333” del risultato delle ore prestate che fa pensare a un di più...? Cioè un numero con maggiori cifre magari rappresenta una quantità maggiore?
O solo la superficialità e la velocità con cui si produce e afferma la disinformazione in Italia?
I risultati scadenti degli studenti italiani: la colpa è del singolo insegnante o di un sistema che fa acqua da tutte le parti e su cui molti, troppi, hanno la responsabilità di non averci messo le mani? Secondo voi se una fabbrica produce macchine difettose la colpa è del singolo operaio o di chi dovrebbe controllare i processi di produzione o della catena di montaggio e di chi la governa? Tutte queste cose? Forse..ma a scale di responsabilità ben diverse.
Qualità dei risultati: coincide con la qualità del lavoro offerto dall’insegnante? Secondo voi è sul docente che deve soffermarsi la critica o sul “sistema scuola” nel complesso? Secondo voi, vista dal banchetto di un ragazzino: si studia e si lavora meglio in una bella aula illuminata, riscaldata, colorata, con arredi adeguati e circondata da un giardino e da campetti, o in un tugurio ammuffito, senza porta, coi vetri rotti, infreddoliti e col cappottino messo?
Con colori, fogli, libri, materiali di ogni genere? O col nulla?
Il miglior operaio può produrre una Ferrari se ha una catena di montaggio adatta per una 126 e per giunta difettosa? La soluzione è licenziare qualche operaio? licenzi l’operaio più scarso? o il migliore?
Ma chè, uno a caso, estratto col bussolotto. Unica condizione: che sia precario e sia in fondo alle "graduatorie". Graduatorie che sono una sorta di girone infernale per accedere alla docenza: "ne avessero date altre di vie le avremmo seguite", ripete inascoltato il malcapitato.
Rimane il piccolo particolare che, in genere, il docente precario è: più giovane, più moderno, più preparato, più aggiornato, più motivato. Qualità che, nella catena di montaggio di cui sopra, farebbero il loro porco comodo.
La scuola non funziona: “a chi diamo la colpa?”
Tutti hanno delle responsabilità nella crisi del sistema scolastico italiano. Politici, per incapacità reali, per disinteresse, per opportunismi di bilancio; sindacati, per autodifese di tipo corporativo; lo stesso mondo della scuola.
Il singolo docente, ha le sue colpe, è bene dirlo, da sempre volto all’autoconservazione del proprio metodo di lavoro (che non va bene: la nostra antica maestra non è il meglio. E’ proprio quello che ho detto: un’ "antica" maestra, non in grado di affrontare i linguaggi e le sfide della modernità, sfide a cui si devono trovare preparati oggi i nostri ragazzi), dicevo, il docente,trascurato oggi, non controllato domani, offeso sempre, si arena e galleggia nella semplice auto responsabilità: non basta. Diventa un peso non più tollerabile. Ci vuole sempre una misura di controllo e di valutazione del proprio metodo, eseguita da altri, e non può essere quello dei risultati degli allievi, perché quei risultati sono falsati dalla realtà complessiva del sistema: molteplice e carente. Esempio: com’è che gli insegnanti del sud hanno "risultati" carenti al sud e diventano all’improvviso tutti delle "montessori" nelle scuole del nord? Sarà che per caso hanno ausili didattici, sociali, ambientali e strutturali di gran lunga migliori?
Come in tutte le categorie ci sono docenti bravi e docenti meno bravi, ma quello è solo uno dei problemi, il problema più grande è strutturale, sistemico.
Gli effetti di questa situazione alla fine li pagano soprattutto studenti e stessi lavoratori del mondo della scuola.
Lavoratori tra l’altro, in Italia, sottopagati (e adesso sapete a che livello), umiliati e messi ai margini. Sommiamoci il logorio del lavoro quotidiano e ne viene fuori l’eroe di cui parla Bersani, non perché insegna nelle periferie, ma perché alza la saracinesca e fa l’appello. Non solo la alza ma fa scuola. Nonostante tutto. A Trento come a Lampedusa. IL docente è l’unica risorsa vera (tolti i soldi, tolte le strutture, tolti i materiali, tolte le scuole che cadono a pezzi) in Italia, allo stato attuale dei fatti, a permettere lo svolgimento di uno dei cardini della nostra Costituzione.
Se infatti si vanno poi a valutare i risultati delle eccellenze (cioè, detta in parole spicciole, cosa “realizzano” i nostri ragazzi eccellenti) al confronto con i coetanei europei arrivano le sorprese: i nostri sono geni.
Sono quelli che, messi in condizione di agire in situazioni lavorative ottimali (all’estero ovviamente) producono il meglio: scienziati, ricercatori, architetti, avvocati, medici, anche quando provengono dalle famigerate scuole del sud. Anzi, incredibilmente, la percentuale è maggiore, di eccellenze all’estero provenienti da regioni del sud dell’Italia (anche perché rappresentano il grosso dell’emigrazione italiana).
Grazie a chi? Sono figli dell’orgoglio di papà e mamma? Certo, ma permetteteci di aggiungere, sono figli di un lavoro estenuante di docenti e docenti e docenti: lasciatemelo dire, di fronte a una buona percentuale di docenti da premio nobel, a una di docenti medi, e a una, minima, ve lo posso assicurare, percentuale di docente “scarso”, l’alunno italiano è capace di maturare un giudizio critico effettivo e fondante che ne aumenta la flessibilità di pensiero e l’ottima capacità dei nostri laureati di adattarsi a situazioni diversissime. Ovviamente nel caso degli allievi migliori, ma è sui peggiori che dovrebbe agire il sistema.
I dati che ho fornito all’inizio (stipendi, ferie) sono dati che difficilmente trapassano i media. La moda e la capacità giornalistica per quel che riguarda la scuola si limita a due tre cose: bullismo, scioperi e risultati scolastici percentualmente scarsi.
Alzi la mano chi di voi lo sapeva: che le vacanze scolastiche tedesche sono esattamente uguali a quelle italiane.
Si, ma i risultati sono diversi... Beh: per migliorare quei risultati si dovrebbe agire a tutti i livelli della catena
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di montaggio, non solo all’ultimo. La riforma Gelmini si è limitata a “togliere operai” dalla catena: non a formarli, non a migliorarli, non a capire di cosa hanno bisogno per effettuare un opera migliore. Attenzione: non a togliere i peggiori.
Ma, indistintamente , sono stati tolti tra quelli che stavano alla produzione dell’albero a camme e quelli della filiera del carburatore. Ah si..qualcosa ha aggiunto nella filiera dell’alza finestrino e dell’accendino elettrico (la famosa lavagna luminosa e il grembiulino), ma la macchina prodotta, se prima era una 126 un pò malandata oggi è uno strano aggeggio capace di andare a 15% all’ora.
La disinformazione sulla scuola: stampa libera di non essere libera. Le considerazioni di sopra sono state fatte dati alla mano. Per trovarli ho dovuto tradurre dei siti stranieri. I nostri sono pieni o di notizie superficiali sui tagli, o di opinioni ricorrenti, masticate, rimasticate e ormai rancide, o di lamenti da ogni dove. Questo on line. Meno che mai avrei potuti rintracciarli sulla stampa o sentirli in tv. Come mai giornali e televisioni si guardano bene dal diffonderli (a parte l’ovvia considerazione che nessuno si è dato la pena di cercarli)? I dati di cui sopra, intendo. (E non basta dire “le tv di Berlusconi” e “colpa di questo governo”, non mi pare di aver mai sentito un telegiornale negli ultimi dieci anni illustrare questi dati. E nemmeno di leggerli su un giornale, nemmeno su un quotidiano notoriamente “filo scolastico” come Repubblica).
Come mai? Perché è una notizia noiosa? Perché non fa lettori? Non fa audience?
Eppure io mi ritrovo circondata di amici, anche di livello culturale e sociale elevato, avvocati, medici, funzionari, financo giornalisti, persone “informate” dunque, che di questi dati non hanno assolutamente idea, che prendono per incontrovertibile verità la vulgata sbagliata e falsa “del docente privilegiato e fannullone che fa due mesi di vacanze” e ne fanno banco di discussioni accesissime.
Figuriamoci l’italiano medio: apprezza il singolo insegnante, il "proprio" in genere (chè, si sa, il "mio insegnante di filosofia però era il migliore di tutti", così come la mia maestra delle elementari, sottolineando la parola "mio", almeno 30 volte, annullando in mezzo secondo di qualunquismo mediocre anni e anni di lavoro di quei docenti per fornirli di autonomo giudizio critico), o quello della propria memoria, "mitico insegnante che lo ha fatto diventare quello che è oggi",
ma si permette, in maniera quanto meno schizofrenica, di dire peste e corna degli inseganti italiani in genere, inebetito come gli altri dalla disinformazione, dall’opinione corrente, dalla propaganda e, peggio, dal disinteresse totale a sapere veramente come stanno le cose prima di emettere giudizi.
Ecco i bavagli reali: la gente non sa. Inebetita con 15 pagine oggi sui litigi Fini-Berlusconi, domani su Noemi Letizia, domani su non so cosa, non si rendono conto di una cosa fondamentale per un paese democratico: la carente completezza e l’assenza di giusta varietà dell’informazione di massa in Italia. Non sa però parla. Come se non si dovrebbe re-instaurarsi un valore sociale del silenzio.
Sono perfettamente d’accordo che il bavaglio alla stampa sia una cosa gravissima, ma certificherebbe un bavaglio già esistente: quello della dilagante scarsa professionalità , nel senso reale della professione del
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giornalista e dei comitati di redazione: delle cosiddette linee editoriali (e con questo mi sono inimicata definitivamente una delle caste più potenti d’Italia: quella della stampa).
Oggi un giornale, e vale per tutte le testate dei quotidiani, non si preoccupa di garantire la varietà reale e di assicurare uno sguardo quanto più completo della realtà, in modo tale da assicurare al cittadino un autonomo giudizio critico del fatti e della realtà, si preoccupa di trovare “lo scoop” più ghiotto, di acquisire maggiori lettori con mezzi aderenti alle normali strategie di marketing da liberismo selvaggio, di fornire ogni tanto “letture preconfezionate della realtà”.
E ciò vale per ogni tipo di testata: di destra, di sinistra, di centro. Eppure poi ritrovo fior di editoriali che si scagliano contro quello stesso liberismo selvaggio di cui il proprio giornale è consapevolmente portatore, quando nella colonna accanto c’è l’ennesima notizia sull’intervento al seno della vip di turno. E intanto però ci tagliano le scuole, ci tagliano i servizi sociali, ci annullano le basi del vivere civile e la notizia si riduce in : precaria della scuola sfila in mutande. Perchè non ha altro modo di finire su un giornale.
E allora, mi vien da dire ad alta voce “Houston, abbiamo un problema”.
La Gelmini infatti si fa forza per le sue azioni dicendo che la maggioranza degli italiani è favorevole ad abolire gli sprechi (ma va la?), poi aggiunge, incolla, accompagna, in modo subliminale, questa verità con una falsità: i docenti sono fannulloni e dunque vanno tagliati, sminuzzati, triturati. Sono loro lo spreco.
Risultato? La falsità ha effetti di legge, legge che molti approvano, se messa nei termini della prima parte della frase. Rimane comunque una falsità.
Ma: a chi lo dico? C’è qualcuno in grado di capire che con la disinformazione si favorisce il consenso dei più a scelte scellerate? Compiute in ambiti che riguardano davvero le basi del vivere civile? C’è qualcuno in grado di capire che si sta compiendo un delitto molto grave nei confronti del futuro dei ragazzi?
E se tale denuncia viene affidata solo all’attuale "reo della colpa", cioè il docente italiano, quanta speranza abbiamo secondo voi, di uscirne?

sabato 3 luglio 2010

LA SCUOLA COSì INTESA PRODUCE MALESSERE

VIDEO CONFERENZA DA SOCRATE A GOOGLE
http://ospitiweb.indire.it/adi/SemFeb2009_atti/sa9_frame.htm

GOOGLE CI RENDE STUPIDI?

NEL LINK TROVATE LA LEZIONE DI DOMENICO PARISI



http://ospitiweb.indire.it/adi/SemFeb2009_atti/sa9_frame.htm

EURISPES DATI PERCENTUALI INTERNET TRA I GIOVANI

“Navigar” m’è dolce… Il numero di giovanissimi che fa uso di Internet è complessivamente aumentato nel tempo: tra i più piccoli la utilizzava il 39,2% nel 2002 e il 48,2% nel 2006; tra i più grandi, rispettivamente il 71,3% e l’84,7%. Nel 2007, invece, si è riscontrato un lieve calo (solo il 34% dei primi e il 78,1% dei secondi dichiarano di collegarsi alla Rete), non identificabile ad ogni modo con un’inversione di tendenza.

Internet si presenta nelle abitudini dei bambini dai 7 agli 11 anni da un lato come una fonte preziosa di informazioni interessanti (44,2% nel 2002, 52,6% nel 2006 e 69,3% nel 2009) e di materiale per lo studio (31,9% nel 2002, 40,2% nel 2006 e 49% nel 2009), dall’altro come strumento di divertimento, sia con i giochi (47,5% nel 2002, 54,9% nel 2006 e 68,3% nel 2009), sia con la fruizione di video e altro materiale multimediale facilmente accessibile (il 50,8% nel 2005 e il 55,9% nel 2009 scarica musica e film e il 54,7% sempre nel 2009 guarda filmati su YouTube). Decisamente meno diffuso, a questa età, è l’approccio alla Rete legato a forme di comunicazione più complesse, come Blog (9,1% nel 2005 e 22,3% nel 2009), forum (21,7% nel 2005 e 20,8 nel 2009) e posta elettronica (13,1% nel 2002 e 27,8% nel 2009). Particolare attenzione merita la diffusione della comunicazione in chat fra i giovanissimi, che ha avuto, in questo arco temporale, la crescita maggiore rispetto a tutte le altre voci, passando da un inconsistente 8,8% ad un considerevole 42,1%, con il sorgere delle conseguenze e degli eventuali rischi che comporta un tale strumento che pone più facilmente a contatto con sconosciuti. Da non sottovalutare anche la notevole confidenza e abitudine dei giovanissimi nello scaricare qualsiasi tipo di documento dalla Rete tramite il peer to peer – modalità molto spesso illegale (55,9% nel 2009).

Tra gli adolescenti si è riscontrato un aumento complessivo dell’uso di tutte le applicazioni nel corso di questi anni. Anche tra i più grandi, la ricerca di informazioni di interesse personale, infatti, è la ragione principale di connessione alla Rete telematica (81,9% nel 2002, 88,6% nel 2006 e 93,4% nel 2009), seguita dai motivi di studio (50,5% nel 2002, 81,2% nel 2006 e 83,2% nel 2009). Tra gli adolescenti, inoltre, è più alta la percentuale di chi utilizza Internet per scambiarsi messaggi di posta elettronica (46,4% nel 2002, 52,6% nel 2006 e 58,3% nel 2009) e per chattare (39,5% nel 2002, 48,9% nel 2006 e 79,9% nel 2009), applicazione che ha riscontrato un vero boom (+40,4%). Due attività che si sono rapidamente imposte tra gli adolescenti, inoltre, sono la lettura di blog (spesso animati da loro coetanei), la cui percentuale di fruitori è passata dal 14% nel 2005 al 46,8% nel 2009, e la visione di video sul portale YouTube (dal 65,3% nel 2007 all’85,8% nel 2009). Il downloading di materiali dalla Rete, infine, è entrato a far parte anche delle abitudini degli adolescenti, una pratica adottata in quanto facilmente accessibile, gratuita, di moda e, pur trattandosi di una pratica illegale, quasi sempre impunita (scarica film e musica il 70,5% degli intervistati nel 2005 e il 76,1% nel 2009).

Social Network: un profilo per esserci. L’indagine campionaria condotta nel 2009 ha constatato che il 71,1% degli adolescenti intervistati possiede un profilo personale su Facebook che ad oggi rappresenta la rete sociale più diffusa e frequentata nel mondo. Percentuali di gran lunga più ridotte di giovani utenti della Rete si radunano attorno a My Space (17,1%) e Habbo (10,4%). La realtà parallela che è possibile vivere in Second Life affascina solo il 2,6% dei ragazzi e il 2,5% fa parte di coloro che amano “cinguettare” su Twitter, una delle più recenti reti sociali che, sulla scia di Facebook, sta iniziando a raccogliere successi sul web.

Il 28,7% dei giovani ritiene che i social network siano utili strumenti per rimanere in contatto con gli amici di sempre e con quelli che si trovano lontano o non si frequentano da molto tempo (23,6%). Il 14,9% dei ragazzi ha deciso di affacciarsi al mondo delle reti sociali sul web per intessere relazioni e fare nuove conoscenze. Alcuni social network dispongono di particolari applicazioni (giochi, gruppi, test) che rappresentano, per il 10,4% dei ragazzi, una possibile alternativa per riempire il tempo libero. Ridotta, invece, appare la parte di campione che sfrutta questi mezzi di comunicazione per rintracciare notizie su eventi o argomenti di proprio interesse (2,8%). Le opinioni negative sull’argomento coinvolgono solo il 13% degli adolescenti che, nell’8% dei casi, considerano i social network solo una perdita di tempo e, per il 5%, sono convinti che usarli possa mettere a rischio la riservatezza personale.

giovedì 24 giugno 2010

PROPOSTA AL MINISTRO

Ai tagli effettuati nel campo dell'istruzione pare che non vi sia rimedio. La scuola opera ormai in assenza di compresenze che sono di fondamentale importanza per potenziare o sanere quelle situazioni in cui il singolo docente - anche a fronte dell'aumento di alunni per classe - non riesce ad agire. Una soluzione potrebbe essere quella di coinvolgere gli studenti universitari la cui laurea è abilitante anche all'insegnamento. A partire dal secondo o terzo anno costoro potrebbero essere impegnati in uno stage annuale presso una scuola, collaborando con il docente della materia per la quale loro stessi si stanno preparando. Collaborazione nel gestire piccoli gruppi di studenti, rinforzo o potenziamento, ricerche particolari, tutor per le eccellenze. Quale vantaggio per gli universitari? Le soluzioni potrebbero essere tante: sconto sulle tasse universitarie? Superamento di un esame abilitante? (due anni di stage presso una scuola sono il miglior corso abilitante, altro che SIS); chi dovrebbe certificarli? I docenti con cui hanno collaborato, il preside della scuola presso la quale hanno svolto lo stage, i loro stessi docenti se all'interno del curricolo universitario venisse inserito un esame di didattica della materia per la quale si stanno laureando. Di giovani dentro alla scuola ce n'è un gran bisogno. La classe docente sta invecchiando, non riesce più a stare al passo con le grandi innovazioni tecnologico/didattiche. Finalmente la scuola sarebbe un terreno dove tre generazioni (adulti, giovani, adolescenti) si incontrano e progettano il futuro insieme.

mercoledì 23 giugno 2010

COME TRATTARE I NATIVI DIGITALI

Come "trattare" i nativi digitali
di Stefano Stefanel

Ad un certo punto in La regina dei castelli di carta, terzo volume della Millenium Trilogy di Stieg Larsson si legge: “Lisbeth Salander uscì dalla chat e andò in Internet a cercare il server che le aveva indicato Plague. Impiegò le successive tre ore a esaminare cartella dopo cartella l’hard disk di Teleborian”. Una nuova popolazione si aggira tra di noi e questo ci sconcerta invece di interessarci. Sono i nativi digitali, coloro che appena nati si sono trovati immersi nelle possibilità di eseguire attività attraverso strumenti di tipo digitale (nati con la tastiera in mano). Nella loro breve vita i nativi digitali acquisiscono competenze di cittadinanza attraverso strumentazioni sempre nuove e con nuovi linguaggi, che noi non abbiamo conosciuto alla loro età. Attualmente rappresentano solo un gruppo, ma col passare del tempo tutta la società indigena italiana sarà nativa digitale. Accanto a loro convivono altre due popolazioni: gli immigrati digitali, cioè coloro che hanno appreso da adulti il web-world (“mondo dei computer”) e i fruitori digitali, cioè coloro che per necessità o per obbligo devono usare il web per cercare di facilitarsi la vita (ma in linea di massima ritengono gli venga complicata). Il luogo dell’incontro tra queste popolazioni dovrebbe essere la scuola, ma troppo spesso la scuola è solo il luogo dello scontro, se non della distanza. Sembra quasi che lo scontro di civiltà non ci sia solo tra religioni o etnie, ma anche tra la generazione dei garantiti e quella dei sotto garantiti.
CONOSCERE I NATIVI DIGITALI
Gli alunni delle nostre scuole dell’obbligo e non solo di quelle sono tutti nativi digitali e come tali le scuole dovrebbero cominciare a considerarli. La scuola dovrebbe riuscire a colmare alcune lacune di comprensione, pena la sua assoluta obsolescenza. Molto spesso si danno nomi diversi alla stessa cosa, a volte non ci si capisce quando si dice qualcosa. Credo sia necessario uniformare il lessico e comprendere alcune novità che trovano nella terminologia un punto di novità. Ma non tutti nella scuola la pensano come me e spesso sembra esserci un eccessivo distacco tra le esigenze dei nativi digitali e le potenzialità che la scuola è in grado di dare loro. Tra l’altro i nativi digitai stanno diventando un social network e i social network sono uno dei punti di massima criticità della nostra società. Il social network è un gruppo sociale, digitale o etnico che si è strutturato un suo sistema di vita autosufficiente e che dalla società acquisisce solo i servizi necessari. Ad esempio: se un ragazzino cinese che frequenta la scuola italiana a casa mangia cinese, parla cinese, legge cinese, segue le feste e le tradizioni cinesi, vede tv via cavo cinesi, ecc. sta in un social network, impermeabile ai nostri tentativi di integrazione. Il social network etnico è il più sviluppato, ma anche quelli di categoria o di classe si stanno affermando anche da noi. Per non parlare poi di quelli digitali, che si strutturano attraverso forme di comunicazione a distanza pubbliche, ma esclusive. Noi usiamo sempre il termine integrazione, ma questo è il contrario del social network. Con l’integrazione il soggetto contamina se stesso con la società in cui vive ed effettua uno scambio tra la sua perdita dell’identità iniziale e l’integrazione con quella attuale. Ma tende a sganciarsi dalla sua origine: se un musulmano si integra difficilmente rimane poligamo. Mentre in un social network il soggetto assorbe servizi ed opportunità per mantenersi ancorati a ciò che è.
Ha scritto Paolo Ferri dell’Università di Milano Bicocca: “Quando negli Anni Ottanta ci si recava nella Germania dell’Est, avevamo la sensazione di tornare indietro di trent’anni. È la stessa sensazione che hanno ogni giorno i nostri alunni quando entrano a scuola. Noi abbiamo di Londra l’idea che ce ne ha dato per anni Sandro Paternostro. Loro passeggiano nelle sue strade senza esserci mai fisicamente stati. Noi incontravamo gli amici al bar, loro vanno su Facebook”.
I ragazzi vanno coinvolti modificando il modo di insegnare e “giocando” sul loro terreno. Bisogna tenere presente che le strumentazioni digitali stanno cambiando - e per certi versi lo hanno già fatto - i modi di apprendere che non passano più solo per la parola scritta. Ma le scuole non riescono facilmente a fare questo e spesso sono la metafora della Germania Est.
VALUTARE I NATIVI DIGITALI
I nativi digitali hanno diritto di essere valutati dalle scuole nella loro interezza. Le nuove norme sulla valutazione condensate nella legge 169/2008 e nel DPR 122/2009 emanati dal Ministro Gelmini prevedono medie matematiche e valutazioni collegiali. Per questo sarebbe fondamentale che fossero registrati non solo gli esiti dei prodotti (compiti, interrogazioni, prove strutturate, ecc.), ma anche gli step di processo (impegno, interesse, partecipazione, intuizione, capacità argomentative, accuratezza, puntualità, precisione, ecc.). La valutazione scolastica dunque dovrebbe prevedere accanto alla certificazione del prodotto anche quella del processo in modo che nulla rimanga nella testa del docente. La collegialità dovrebbe esplicarsi attraverso forme trasparenti e solo la documentazione completa può permettere di monitorare il processo di valutazione nei momenti necessari. Mentre al contrario in molte scuole prevale la media matematica conteggiata attraverso valutazioni date in modo arbitrario e un tentativo di chiudere i processi di apprendimento in una sorta di bolla di protezione che non interagisce col reale.
Inoltre per valutare correttamente il processo di apprendimento vanno tenuti distinti due termini che la scuola tende a confondere:
◦ Individualizzazione – E’ il modo migliore per sviluppare un programma. Tutti partecipano allo stesso tipo di scuola, ma vengono aiutati e valutati in base agli obiettivi fissati per loro. Gli obiettivi minimi stanno alla base dell’individualizzazione. Questo metodo di insegnamento è entrato in crisi quando gli obiettivi scolastici si sono scostati troppo da quelli sociali.
◦ Personalizzazione – E’ il modo più semplice ed efficace di declinare un curricolo. Personalizzare un apprendimento o un insegnamento significa creare un percorso irreversibile proprio della persona interessata. Attraverso la personalizzazione si possono raggiungere obiettivi simili (competenze, cittadinanza, ecc.) attraverso percorsi tra loro estremamente diversi.
Questa distinzione non è sempre molto chiara a molti docenti, che si sfiancano alla ricerca di modalità per coinvolgere ragazzi, che invece stanno altrove. I nativi digitali sono una popolazione con loro usi e costumi, non necessariamente interessati ai nostri. Sono una popolazione a cui noi proponiamo avvenire, ma che vede intorno a sé precariato, a cui noi trasmettiamo molti saperi antichi che non esistono più, a cui noi dedichiamo la nostra attenzione che non sempre intercetta le loro necessità.
La straordinaria complessità del mondo interattivo con i suoi Facebook, Twitter, Messnger, You Tube, ecc, mostra al tempo stesso le potenzialità e pericoli di una società in cui i nativi digitali cercano certezze e trovano complessità. Noi adulti che dovremmo guidarli siamo più spaesati di loro e cerchiamo di sopperire alla nostra ignoranza con una dose di supponenza e di carta. Più i nativi digitali conoscono, più noi stampiamo faldoni di carta che nessuno legge e che nessuno analizza. Siamo all’implosione della comunicazione, ma abbiamo dei problemi a capire come si fa. E per questo i nostri figli e i nostri alunni hanno dubbi: sulla realtà e sulla nostra capacità di guidarla.
SORVEGLIARE E PUNIRE I NATIVI DIGITALI
I nativi digitali soprattutto minorenni vanno sorvegliati e puniti per i loro eccessi e per i loro comportamenti pericolosi, maleducati, teppistici. Resta il fatto che per sorvegliare bisogna conoscere perché altrimenti la punizione è solo repressiva e non tenta neppure il recupero sociale. Per reprimere anche i peggiori comportamenti e le più evidenti deviazioni bullistiche bisogna conoscere i codici attraverso cui si esprimono i ragazzi. Bisogna studiare i ragazzi per sorvegliarli e per capire quando vanno puniti. Chi conosce i nativi digitali ne intuisce gli usi e costumi e attraverso quelli ne percepisce le deviazioni teppistiche o bullistiche. Ma l’attenzione e l’ascolto sono la base attraverso cui partire e entro cui collocarsi. Affinché la sorveglianza sia efficace e la punizione giusta.
Ci sono i “Geek”, individui che usano gli strumenti digitali in tutte le loro possibilità, sono interessati da tutto, contaminati da fumetti, videogiochi, cultura, ecc. Sono riassunti nella frase di Barak Obama: “Sono cresciuto con Star Trek, io credo nella frontiera”. Hanno soppiantato i “Nerd”, individui che conoscono il loro computer sia dentro che fuori. Niente di ciò che sa o può sapere il loro computer gli è sconosciuto. In via di evoluzione sono gli “Hacker”, la più celebre dei quali è Lisbeth Salander, l’eroina della Millenium Trilogy. Gli hacker sono capaci di violare i computer altrui inserendosi attraverso la rete. Di solito il loro interesse maggiore è la violazione delle protezione, non l’acquisizione dei contenuti violati.
Una volta si diceva: “una risata vi seppellirà”. Nessuno ci ha seppellito e noi non abbiamo seppellito nessuno. E non c’è neanche granché da ridere.

lunedì 21 giugno 2010

http://video.google.com/videosearch?q=Seminario2009+Bottani&emb=0#

LEZIONE VIDEO DI BOTTANI DOVE VENGONO SPIEGATE MOLTO BENE LE IMPLICAZIONI A LIVELLO CULTURALE GENERALE NELL'UTILIZZO DELLE N.T.